Dal mio punto di vista la situazione è molto più complessa delle semplificazioni che da una parte o dall'altra si è portati a fare.
Qui si intersecano due problematiche di fondo la cui analisi non è affatto semplice, se la si vuole fare in maniera un po' costruttiva e non a carattere tifoso: immigrazione e razzismo in Italia.
Di fondo, come ho già spiegato diverse volte, trovo sbagliato prendere degli episodi di cronaca e interpretarli in maniera grossolana come rappresentativi di questa o quella realtà: un supporto numerico è fondamentale, l'episodio di cronaca può esserne l'appendice. Senza supporto numerico l'episodio di cronaca è fuorviante. Inoltre, un altro elemento da tenere sempre bene a mente quando si leggono i dati è il contesto in cui questi dati si generano, specialmente se si vuole fare confronti tra luoghi diversi o tra periodi diversi e altro aspetto da non sottovalutare è se questi dati sono raccolti sempre nello stesso modo e sempre con le stesse definizioni.
Ciò non vuol dire che Traini non fosse un razzista pericoloso, che Salvini non sia un politico che cavalca un razzismo di fondo nello zoccolo duro del suo elettorato, che politiche di integrazione più intelligenti siano più difficili da applicare se chi è al governo segue questi crismi.
Fatta questa premessa, passiamo alla domande di fondo: l'Italia è un paese intrinsicamente razzista? Gli episodi di razzismo e intolleranza sono in decisivo aumento?
Alla prima domanda cerca di rispondere il PEW Research con i dati postati qua da Lyndon e altrove da Rosewall.
Sembrerebbe di sì che gli italiani sono intrinsicamente razzisti, se confrontati agli altri paesi presenti nella ricerca. Qui però, forse, fare un analisi del contesto italiano rispetto a quello degli altri paesi può aiutare un po' a "ritarare" la lettura di quel risultato.
L'Italia è un paese:
- con pochi immigrati
- senza un passato coloniale
- non multi-etnico / multi-culturale
- non multi-linguistico
- con immigrazione non gestita ma subita
- con politiche di integrazione poche e destruttrate
- campanilistico, portato sempre a vedere con diffidenza tutto ciò che proviene da fuori delle proprie mura cittadine.
E' facile attendersi che un paese con queste caratteristiche si posizioni tra i paesi più xenofobi, anche perché il questionario del PEW research si basa su scale semantiche dove, nel contesto italiano, i "non so" e gli "abbastanza" attirano molte più risposte.
Poi, ha poco senso usare la lettura di questi risultati per tirarci la croce addosso. Avrebbe più senso chiedersi, appunto, perché siamo qui? Cosa si dovrebbe fare per migliorarsi un po'?
Alla seconda domanda, potrebbero dare risposta i dati del link che ho postato prima.
Ma anche qui la risposta non è banale: non esistono banche date ufficiali, i dati "più ufficiali" si fermano al 2016, chi raccoglie i dati lo fa in maniera destrutturata, gli episodi sono pochi, per cui risentono di un'alta variabilità.
In particolare questi grafici:
https://infogram.com/italy-racism-1hnp2717y7wy2gq
Anche qui qualche dubbio, non da negazionista, ma da anlista che legge i dati.
In questo grafico ci sono due "salti" uno tra il 2012 e il 2013, in cui si passa da una settantina di casi a più di 400, e poi tra il 2015 e il 2016 in cui si arriva quasi a un raddoppio.
Quando vedo salti così netti mi vengono sempre dubbi:
1. non è che in corrispondenza di questi salti sia avvenuto qualcosa che ha fatto in modo che situazioni che prima erano sommerse o nascoste, ora emergono o appaiono? La diffusione dei social e degli smartphone potrebbe incidere: il fatto che tutto sia scritto e filmato fa sì che sia anche più semplice provare e circosanziare determinati fatti che non è che prima non esistessero, ma che non venivano denunciati.
2. non è che è cambiata la categorizzazione / definizione di alcuni crimini, che prima non rientravano tra i crimini d'odio e adesso sì?