Poi permettete, ho sempre l'impressione che abbiamo un po' la presunzione che la
nostra contemporaneità abbia peculiarità uniche (in questo presumo siamo in compagnia di tutti i contemporanei che ci hanno preceduto, tutti convinti di essere
on the edge quanto noi, forse).
Mi sembra tutto così ripetitivo, invece: non in quanto la storia sia maestra di vita (brrrrrrrrrrrrrrr), ma in quanto l'uomo non è così diverso dai una qualche manata di generazioni fa, ed in particolare le possibilità e le azioni umane di risolvere dinamiche di natura sociale e politica non è che siano poi tante, in fondo, e la
governance di Pericle, di Giustiniano, dei Cerchi e dei Donati, di Filippo di Spagna, dell'Italia di Giolitti, degli USA di Regan è, nei principi fondamentali, mica cambiata così tanto (nel senso che quelle banalità che riteniamo spesso così caratteristiche del nostro tempo: il discredito metodico dell'avversario, il cavalcare la pancia del popolino, la diffusione attraverso mezzi di comunicazione di notizie false, la creazione e la sopravvalutazione di problemi ad hoc per distogliere l'attenzione su altri temi, ed anche tutte quelle pratiche "fasciste", come se la prepotenza di governo nascesse con Mussolini, non presentano
niente di nuovo sotto il sole: vanità di vanità. Il che non vuol dire sia sbagliato censurarle, intendiamoci: basterebbe non farlo come fossero una sorprendente esclusiva nei nostri tempi. Fa tanto da
parvenu ).
L'Ecclesiaste, che guardava alle cose frivole con l'occhio gigante del disincanto e della decadenza (e che rivolgeva a JHWH, illuminato, lo stesso occhio), aveva capito ogni cosa, forse.