Provo una certa indifferenza (che ovviamente chiederei di non portare all'estremo) riguarda l'aspetto della morale all'interno di una religione. Ho sempre avuto l'impressione (peraltro suffragata, mi pare, da parte concreta dell'antropologia, e degli studi sulla sciamanesimo e le religioni primitive: non la totalità, ovviamente) che alla base di una religione non ci sia troppo una, come dice scooter, volontà igienica, morale o legislativa (seppure sia una parte, come dice giustamente Nickognito, fondamentale di ogni religione), ma più che altro una
intuizione, più o meno fragile. Insomma credo non solo che il Roveto Ardente preceda il Levitico, ma credo anche che preceda il sacrificio di Isacco: il tutto si apre e chiude nei piedi scalzi che ascoltano la voce dire "Io sono".
Quando Alessandro, in maniera piuttosto compiaciuta
con esattezza geometrica da studioso di religioni comparate parla di
storie che circolano e i temi sono sempre gli stessi dice in realtà qualcosa di piuttosto profondo. Quegli uomini (amiamo pensare fossero particolarmente naif: in realtà erano persone di discreto buonsenso) ebbero delle sensazioni su alcuni aspetti del reale, e queste sensazioni si diffusero perché sembravano a molti individui piuttosto accordate a quanto pensavano (nonostante la loro quotidianità fosse molto meno fiabesca della nostra, in quasi tutti i sensi). Basterebbe spigolarne qualche paio per capire come la maggior parte delle cose che hanno accumunato la maggior parte delle civiltà antiche (pure quelle piccoline) siano abbastanza controintuitive, in realtà: l'età dell'oro, il Diluvio, l'esistenza dell'anima, per dirne tre note, o il sacrificio del cavallo, l'
aśvamedha dei Veda che arriva ai romani nell'
october equus. Ecco, pensate a quella cosa che noi chiamiamo anima e alla sua sopravvivenza alla morte. Noi pensiamo al poetico esempio del
nefesh ebraico, quel soffio (provate a pronunciarlo ad alta voce e commuovetevi sull'ultima sillaba), forse preso a prestito dalla mistica egiziana, fonte d'origine anche della psyché greca, ma è pressoché sostrato comune di ogni civiltà poco più sviluppata di quelle in cui ci si tira la merda in testa per gioco dopo pranzo: popolazioni precolombiane, la celeste Cina, i riti animasti pensano che qualcosa come l'anima ci sia. Ecco, appunto, vorrei fare notare quanto
controitutivo sia il concetto di anima, se nessuno ci avesse mai pensato.
Se questi individui avessero ragione, non saprei dire troppo (potrebbero benissimo essersi sbagliati): cerco però quantomeno di non sottovalutarli, e di cercare di capire come mai la cosa ebbe tanta fortuna (preferire, per non cadere in imbarazzo, tralasciare l'idea ottocentesca e un poco frivola che ebbero bisogno di consolazione, o videro il tutto come una forma apotropaica nei confronti della buia notte. E peraltro: che momento
sublime quello in cui il primo ominide sentì il peso dell'ingiustizia della morte, e processando nel tempo questo momento, decise di vestirsi di una foglia di fico).
Insomma, se è vero che la morale copre gran parte dei testi sacri, è vero anche come questa morale cresca dal seme di senape: l'
intuizione dell'Altro, sotto diverse forme (il sancta sanctorum è pur sempre un sacello buio e deserto per la maggior parte del tempo): e questa intuizione mi pare essere la Cosa che conta.
Si tratta, tuttavia, di un parere personale.
Mi dispiace comunque che abbiate questa visione tra il tedioso (come Mark Twain) e il futile del Paradiso. Non credo sia ragionevolmente possibile affrontare non dico con rigore, ma almeno con accettabile sensibilità l'argomento: in maniera piuttosto evidente, ritenete (lecitamente, peraltro, tutto giustificabile, per carità) sia una idiozia da deridere in maniera più o meno blanda. Io ci credo, e porterete pazienza
Burano ha scritto:Non era astio. Uno se ha una morale si presume la segua, più o meno.
Non mi pare una presunzione corretta. Si può avere una idea ben chiara della bontà di una morale da seguire, eppure non avere le forze, o la decenza, o la volontà di seguirla (si può ritenere che il matrimonio indissolubile, eppure divorziare "perché mi ha sfasciato il cazzo". Insomma si fa qualcosa di immorale,
il male che non voglio direbbe San Paolo, eppure essere ancora genuinamente convinti che l'altra sarebbe la scelta giusta). Ciò non toglie che quella morale la si possa ritenere valida. Ovviamente mi pare scontato sia sempre preferibile adeguarsi ad una morale, una volta che la si ritiene appropriata.