sempre per divagare...
Gios ha scritto:
Boh, forse abbiamo un po' di differenze sul concetto di farsa e di tragedia.
Credo che nei confronti di Stannis i termini "fine ultimo" e "mezzo utile" siano scorretti: un greco non li avrebbe usati (un italiano del Rinascimento eccome) perché, al termine del percorso dell'uomo (ma nemmeno nel mezzo) non ci può essere una ultimità e utilità finale. Paradossalmente Stannis è molto concreto, ma non è pragmatico. Per me il punto essenziale della tragedia è la resistenza che si crea tra ethos e daimon, tra la necessità (Ananke, come dicevo) e la libertà. Il greco arcaio (almeno, diciamo, fino ad Euripide) ritiene non vi sia possibilità di alterare la trama delle Moire, eppure agisce, ed in questa consapevolezza è il senso della tragedia: sull'uomo pende una colpa oggettiva dell'agire, eppure agisce. Stannis ha un doppio vincolo nei confronti del destino: il primo, politico, col dovere di ristabilire l'ordine nei Sette Regni. Il secondo, escatologico, col dovere di salvare i Sette Regni. C'è una certa stanchezza in ogni azioni di Stannis, anche questa secondo me propria dell'eroe greco, che è consapevole di non essere il campione delle proprie azioni (diversamente dal cavaliere cristiano, e del fratello di Stannis, Robert) ma di essere uno strumento agente nelle mani del daimon (due tipi differenti di daimon, se si vuole).
Questo non esclude l'umanità (Edipo, Antigone e Medea soffrono) ma implementa una sorta di distaccata fatalità, un doloroso viatico che si declina, a volte, in disperazione, a volte, in una sorta di meditata atarassia. Gli eroi e le eroine greche (e Stannis) non perdono la loro umanità perché il destino che inseguono (e da cui sono inseguiti) costringe le loro azioni, ma anzi questa umanità è esaltata da quella che (ai nostri occhi cristiani) è la mostruosità delle loro azioni (Atreo, Progne, Oreste, Edipo sono criminali peggiori di Stannis).
Non capisco come il genere farsesco centri con tutto questo: intendi dire che perdendo l'umanità Stannis diventa una semplice maschera?
gli è che secondo me Stannis alla fine è proprio "rinascimentale":
- la conquista del Trono, il ripristino dell'ordine politico, sono (possono essere letti come) un fine ideale (anche salvifico, l'escatologia è pure una categoria rinascimentale)
- Stannis non obbedisce a dei princìpi "religiosi" (almeno, per quanto concerne quel dio lì), si serve della magia della rossa perchè è funzionale al fine ideale (semmai, finisce per aver fede in questa magia e nelle sue sorti magnifiche e progressive, affidandovisi completamente e scordandosi del fattore umano, che diserterà).
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L'ananke è stata un'illusione: Melisandra si era sbagliata. Nella tragedia antica, del resto, c'era questa cosa del copione già scritto: gli spettatori conoscevano già il mito e il destino dei personaggi.
Quando un drammaturgo vuole recuperare un pò di tragica necessità senza però riproporre il solito mito, ecco che ti piazza una profezia. La profezia di Melisandra si sfalda e con essa si sfalda l'elemento tragico.
Quanta più tragedia invece nella profezia rivolta a Cersei sui suoi figli destinati a morire!
(lei che si affanna, e i suoi figli che devono morire).
- L'eroe tragico dà luogo a un processo conoscitivo; pure quando abbiamo una profezia e lui l'abbia anche ascoltata, bisogna poi capire in che modo prende forma, che ciò che accadrà non solo accadrà ma
deve accadere, qual è la colpa, chi si è (proprio attraverso quellla "resistenza" fra necessità e libertà).
Nello sguardo di Stannis dell'altra sera ci si leggeva sì la rassegnazione (e vorrei vedere) ma pure un bel: "boh, io non ci ho capito un c azzo".
La tragedia man mano
fa vedere le reazioni dei protagonisti dilaniati e disperati.
Stannis fa vedere la tragedia solo quando tiene alla figlia quel discorso sulla scelta.
Quindi vorrei leggerla così: Stannis agisce per adempiere a un Destino? Sì.
Ma a differenza dell'eroe tragico egli è (parzialmente) artefice del proprio destino.
Può servirsi della magia, ma poteva anche non farlo sempre.
Può suicidarsi per depressione caricando in formazione aperta contro la cavalleria dei Bolton, ma poteva anche non farlo.
Lui ha scommesso (in questo, è rinascimentale) che sarebbe stato il prescelto.
Se ci ha preso o meno, lo potrà sapere solo vivendo, e la risposta sarà data esclusivamente dall'aver avuto
successo, oppure no (l'altra sera scopre che no).
Da che cosa dipende la fortuna di questa scommessa, l'avere o meno successo?
Da un piano superiore (e magari "giusto")? No.
Dipende in parte dai capricci della
'fortuna' (cioè si scommette di avere cul o: per un pò sembra che a Stannis le cose vadano bene, poi di colpo no).
E dipende per il resto dalla
'virtù' (cioè Stannis scommette di essere un grande sovrano: per un pò sembra che lo sia, poi di colpo no).
Ora, visto che la virtù c'entra molto col carattere, eccola lì dov'è andata a nascondersi Ananke: nel carattere cazz one di Stannis.
Che illuso della necessità della magia, ha finito per dimenticarsi della necessità dei comportamenti umani: del suo, e di quello dei suoi soldati.