Sì, era quello che intendevo col termine "percezione".Rosewall ha scritto:forse non mi sono spiegato: gli sceneggiatori hanno il pieno controllo della loro materia, e se sacrificano un aspetto è a ragion veduta. Detto questo, piú che la loro visione conta quello che riescono a fare passare. E peraltro non ho motivo di pensare che non sia passato proprio quello che avevano intenzione che passasse. E sí, è una serie popolare che è scritta e girata (molto bene) per un grande pubblico.
C'è uno scarto ovvio tra l'intenzione degli autore e la percezione dei fruitori (che sono, borgesianamente, infiniti). La prima, pur nelle sue sfumature, è univoca (sebbene possa essere volutamente ambigua o ambivalente: quando Dante dice che "il velo è sottile" intende che è traslucido, quindi confuso, oppure intende che è facilmente penetrabile, oppure, in proiezione laterale, che è quasi invisibile, quindi non difficilmente individuale? Oppure, magistralmente, Dante intende tutte queste soluzioni contemporaneamente?) e va tenuta in netta considerazione (ed è, per me, prioritaria a tutto). Le seconde sono funzionali alla cultura in cui è calata l'opera, il suo contesto, oltre ad ovviamente la personalità, il gusto, la cultura del singolo individuo.
Se l'autore può immaginare le parziali percezioni dei suoi contemporanei (seppur non uno per uno), ovviamente non può farlo per i posteri (che condivideranno, comunque, verosiilmente, il destino di essere quantomeno stati partoriti). Ed ancora: quando le percezioni sono vicendevolmente condizionate, e ci trovassimo in un sistema complesso di dipendenza sensibile alle condizioni iniziali, come può, povero autore, prevedere dove si andrà a parare?