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Fabrizio Bocca su Repubblica
LONDRA – Ho seguito tutta la pubblica confessione di Alex Schwazer, la storia dell’Epo comprata in Turchia, il fatto di essersela iniettata in bagno dopo aver aspettato che la fidanzata Carolina fosse uscita di casa, la sua sofferenza per una vita fatta solo di fatica e monotonia, l’obbligo e la schiavitù di dover essere sempre l’uomo di Pechino, la grande attesa e la pressione per i risultati e così via. Alex, senz’altro, suscita molta comprensione: a tanti di noi può capitare di sbagliare, e anche in maniera grave, di fare atti sbagliati nella vita. Lui è giovane forse troppo, ancora immaturo per le grandi responsabilità di cui uno sportivo si deve far carico, prima fra tutte quella della consapevolezza di saper perdere e di saper accettare la sconfitta. Costi quello che costi, anche il proprio futuro professionale. Gli sportivi è noto devono crescere presto, e a 27 anni si ha l’obbligo di non perdere la testa.
Però ho anche visto la pervicacia con cui ha difeso la sua scelta di essersi rivolto a un luminare della scienza del trucco, facendolo passare come un grande preparatore atletico, lo stesso di Lance Armstrong. E ha poi ha ripetuto “Non ho nulla da nascondere”. No, nasconde e anche parecchie cose, purtroppo. Nessuno, ma proprio nessuno accredita l’idea che possa aver fatto tutto da solo. Il punto di questa storia, come di tutte le storie di doping del resto, è sempre lo stesso e del resto ne abbiamo discusso insieme fin da subito lunedì stesso: l’atleta beccato positivo, perso per perso, ha tutto l’interesse a proteggere chi l’ha aiutato. Poi in una maniera o nell’altra si rientrerà nel giro, il clamore e lo scandalo di questi giorni dimenticato, e l’idea di una vita semplice semplice e monotona lasciata a chi non ha altra possibilità. E così i luminari del doping, circondati da un popolo di galoppini e di dirigenti che chiudono uno, se non entrambi gli occhi – in Italia, come nel mondo – continueranno a prosperare sul marcio dello sport.