Addio Barone
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Addio Barone
MILANO, 5 novembre 2007 - Nils Liedholm è morto. L'ex tecnico del Milan è scomparso all'età di 85 anni a Cuccaro, nel Monferrato, dove viveva.
Grande uomo, mai sopra le righe. Mi dispiace.
R.I.P.
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- Massimo Carbone
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Un genio del calcio, sia da giocatore sia da allenatore.
Un gentiluomo vero e sincero, comunicava classe infinita.
Ho un piccolo ricordo di lui. Nel '97, dopo l'esonero di Carlos Bianchi, tornò ancora una volta alla Roma e, mentre passeggiavo dalle parti dell'Hotel Cicerone con la mia ragazza, lo incrociai. Mi fermai, lo salutai, gli dissi in bocca al lupo per la nuova avventura (certo, rilevava una squadra al completo sbando). Lui fu gentilissimo, per nulla altezzoso, semplice ed affabile nella sua classe impareggiabile. Prima ancora di congedarsi da me, salutò, da vero gentleman, la mia ragazza, che ricambiò pur non sapendo bene, in quel momento, chi fosse (non era molto esperta di calcio...). Un incontro di un minuto, ma bastò a farmi capire (se mai ce ne fosse stato bisogno) che grande uomo fosse...
Un gentiluomo vero e sincero, comunicava classe infinita.
Ho un piccolo ricordo di lui. Nel '97, dopo l'esonero di Carlos Bianchi, tornò ancora una volta alla Roma e, mentre passeggiavo dalle parti dell'Hotel Cicerone con la mia ragazza, lo incrociai. Mi fermai, lo salutai, gli dissi in bocca al lupo per la nuova avventura (certo, rilevava una squadra al completo sbando). Lui fu gentilissimo, per nulla altezzoso, semplice ed affabile nella sua classe impareggiabile. Prima ancora di congedarsi da me, salutò, da vero gentleman, la mia ragazza, che ricambiò pur non sapendo bene, in quel momento, chi fosse (non era molto esperta di calcio...). Un incontro di un minuto, ma bastò a farmi capire (se mai ce ne fosse stato bisogno) che grande uomo fosse...
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- Massimo Carbone
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Ciao grande vecchio...son cresciuto con lui e il Paron, non ci sono più entrambi...un pezzettino della mia infanzia sportiva che se ne va...
Chissà quante bevute adesso lassù...
Si poteva vincere, pareggiare o perdere, nulla di diverso, ironico alla Svedese...
Spiace anche a me, ma credo che abbia vissuto la vita che voleva vivere, e che a tutti augererebbe di trascorrere!!!
Chissà quante bevute adesso lassù...
Si poteva vincere, pareggiare o perdere, nulla di diverso, ironico alla Svedese...
Spiace anche a me, ma credo che abbia vissuto la vita che voleva vivere, e che a tutti augererebbe di trascorrere!!!
<Parliamo di sport e non di simpatia. Forse potremo essere più obiettivi.> Ciao M.
<E non te va bene quando si gioca tutto in una schedona, e non ti va bene se ci sono i doppi turni... non invidio tua moglie > Ciao V.
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- pocaluce
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addio liddas...
ora che se n'è andato lui, non ci sono più capitano, allenatore e presidente della mia "prima" roma...
inutile sottolineare che se ne va un qualcosa dentro di me, a livello di memoria calcistica personale, ma il ricordo rimarrà per sempre.
ora che se n'è andato lui, non ci sono più capitano, allenatore e presidente della mia "prima" roma...
inutile sottolineare che se ne va un qualcosa dentro di me, a livello di memoria calcistica personale, ma il ricordo rimarrà per sempre.
A lot of people say, "Yeah, I like Dennis Rodman," but they don't really mean that. I'm a big Dennis Rodman fan. I've been a Rodman fan since 1998 when he was in all his controversy, so that's never going to change.
Addio mitico Barone!
"Non credo di essere bello. Ma che valore ha la mia umile opinione contro quella che invece dichiara lo specchio?"
Muhammad Ali
http://www.youtube.com/watch?v=oD99VbFzqAg
Muhammad Ali
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- Massimo Carbone
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Ciao Barone...
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gran personaggio, un genio del calcio ironico e mai sopra le righe
voglio ricordare:
il "ciao Canà" con cui chiude l'intervista ne "l'allenatore nel pallone"
Tosetto, il Keegan della Brianza
Mandressi, il nuovo Rensenbrink
Addio, Barone, un altro pezzo (con Bortoluzzi, stesso giorno) della mia infanzia che se ne va
voglio ricordare:
il "ciao Canà" con cui chiude l'intervista ne "l'allenatore nel pallone"
Tosetto, il Keegan della Brianza
Mandressi, il nuovo Rensenbrink
Addio, Barone, un altro pezzo (con Bortoluzzi, stesso giorno) della mia infanzia che se ne va
prematurata la supercazzola o scherziamo?
ROBERTO BECCANTINI
MILANO
Era un maestro, Nils Liedholm, che «iocava» anche con i giornalisti. «Ogni volta che salivo a Milanello - racconta Guido Lajolo, cronista di cappa e spada - mi chiedevo con quale battuta mi avrebbe accolto». Gli archivi le custodiscono gelosi e divertiti. Mandressi, un attaccante del Milan che in un’amichevole a Rimini aveva «osato» fare due gol, fu innalzato al rango di «erede di Rensenbrink». Tosetto, un’aletta tutto pepe, diventò dall’oggi al domani, e da un dribbling a un cross, il «Keegan della Brianza». A Roma, nel declamare la formazione, Nils partiva da Valigi Claudio, centrocampista: «Valigi e altri dieci». Erano tempi più lenti, anche se non proprio vergini. Calcio-scommesse, proto-doping, robe così. Liedholm era il Barone. Un allenatore che amava il calcio al punto da non prenderlo sul serio. Rideva con gli altri, non degli altri. La televisione, allora, non era né urlata né sguaiata. La moviola costituiva un tenero e curioso giocattolo, le partite le raccontava Beppe Viola. Nessuno poteva immaginare che il futuro sarebbe stato di Biscardi e dei biscardiani. Neppure quando irruppe Berlusconi.
Liedholm fu il suo primo allenatore. Durò poco: troppo diversi. Nils era uno svedese di mondo, gran calciatore e gran tecnico. L’uomo di Arcore, giovane e pieno di antenne, prese il Milan nel 1986 e lo usò per trasformare il calcio e il paese. L’astuto e ironico precettore aveva altri ritmi, non solo altre idee: che poi erano i sogni e i progetti di una generazione spaccata dalla guerra e aggrappata alla mobilità del lavoro. Tutto cominciò con una crostata, a Barcellona, durante il torneo Gamper. La squadra a tavola, per lo spuntino pre-partita. Sembrava un banchetto nuziale. Il padrone non gradì il menù e passò la notte a confessare i giocatori, uno per uno, mentre il signor «mister» ronfava in camera. Ragazzi, mangiate troppo: che ne direste di una bella crostata? E così fu. Nils non fece una piega: «Il presidente è stato velocissimo centravanti della squadra della sua azienza, e anche allenatore». Arrivò il dietologo, seguito a ruota dallo psicologo, «utile - secondo Nils - per rincuorare i “iocatori” dopo un cinque in pagella».
Figuriamoci. Berlusconi parlava già di mission e sinergie. Liedholm correva di nascosto dal mago di Busto Arsizio per concertare la formazione. Era la stagione 1986-87, il Milan perse le prime due partite, con l’Ascoli e a Verona. Il Cavaliere, che friggeva come un calamaro in padella, gli chiese umilmemente: «Mi dia una mano». Nils gli diede la mano. Ad aprile, venne rimosso e sostituito da Capello. Non senza, naturalmente, un comunicato che schiumava di sincera riconoscenza e dolorosa necessità. A Liedholm bastava il possesso palla. A Berlusconi interessava il possesso di tutto. Dietro l’angolo, cominciava ad agitarsi la paranoia di Sacchi. Liedholm «iocava a sona», flirtava pudicamente con i risultati e, nei ritagli di tempo, distillava ilari motteggi. Come la storiella di Marco Macina, titolare designato in Lazio-Milan del gennaio 1985. La gara fu rinviata di ventiquattr’ore per un’improvvisa, e violenta, nevicata. Macina andò dal massaggiatore per ritirare la maglia. Liedholm lo fulminò: «Tu iocato ieri».
Alcune sono vere, altre verosimili, altre ancora patteggiate: tutte, però, ne rispecchiano l’indole e lo stile. Nils raccontò di non essere andato alla Juventus «perché, insieme, saremmo stati troppo forti per tutti». Boniperti non ha mai negato che gli piaceva e lo avrebbe voluto a Torino. Si videro a casa del conte Rognoni, parlarono per ore e ore, Liedholm con la sua cantilena, il presidente con i suoi scatti. All’alba, Boniperti ripartì in auto ed era così stravolto dalla ragnatela dialettica del Barone che si addormentò al volante e rischiò di finire in un fosso.
Il calcio di Liedholm: «Di solito, provo in partita gli schemi che poi mi riescono perfettamente in allenamento». Non aveva bisogno di spot. Uno scudetto al Milan, quello della stella, e uno a Roma. «Farò il direttore tecnico», comunicò agli amici quando Berlusconi assunse Capello. In realtà, non fece più niente: almeno nel Milan. Aveva una filosofia quieta, «è la palla che deve sudare, non voi». Falcao, però, lo forgiò lui. E Di Bartolomei «libero». E Maldera cannoniere. Fatti, non battute
MILANO
Era un maestro, Nils Liedholm, che «iocava» anche con i giornalisti. «Ogni volta che salivo a Milanello - racconta Guido Lajolo, cronista di cappa e spada - mi chiedevo con quale battuta mi avrebbe accolto». Gli archivi le custodiscono gelosi e divertiti. Mandressi, un attaccante del Milan che in un’amichevole a Rimini aveva «osato» fare due gol, fu innalzato al rango di «erede di Rensenbrink». Tosetto, un’aletta tutto pepe, diventò dall’oggi al domani, e da un dribbling a un cross, il «Keegan della Brianza». A Roma, nel declamare la formazione, Nils partiva da Valigi Claudio, centrocampista: «Valigi e altri dieci». Erano tempi più lenti, anche se non proprio vergini. Calcio-scommesse, proto-doping, robe così. Liedholm era il Barone. Un allenatore che amava il calcio al punto da non prenderlo sul serio. Rideva con gli altri, non degli altri. La televisione, allora, non era né urlata né sguaiata. La moviola costituiva un tenero e curioso giocattolo, le partite le raccontava Beppe Viola. Nessuno poteva immaginare che il futuro sarebbe stato di Biscardi e dei biscardiani. Neppure quando irruppe Berlusconi.
Liedholm fu il suo primo allenatore. Durò poco: troppo diversi. Nils era uno svedese di mondo, gran calciatore e gran tecnico. L’uomo di Arcore, giovane e pieno di antenne, prese il Milan nel 1986 e lo usò per trasformare il calcio e il paese. L’astuto e ironico precettore aveva altri ritmi, non solo altre idee: che poi erano i sogni e i progetti di una generazione spaccata dalla guerra e aggrappata alla mobilità del lavoro. Tutto cominciò con una crostata, a Barcellona, durante il torneo Gamper. La squadra a tavola, per lo spuntino pre-partita. Sembrava un banchetto nuziale. Il padrone non gradì il menù e passò la notte a confessare i giocatori, uno per uno, mentre il signor «mister» ronfava in camera. Ragazzi, mangiate troppo: che ne direste di una bella crostata? E così fu. Nils non fece una piega: «Il presidente è stato velocissimo centravanti della squadra della sua azienza, e anche allenatore». Arrivò il dietologo, seguito a ruota dallo psicologo, «utile - secondo Nils - per rincuorare i “iocatori” dopo un cinque in pagella».
Figuriamoci. Berlusconi parlava già di mission e sinergie. Liedholm correva di nascosto dal mago di Busto Arsizio per concertare la formazione. Era la stagione 1986-87, il Milan perse le prime due partite, con l’Ascoli e a Verona. Il Cavaliere, che friggeva come un calamaro in padella, gli chiese umilmemente: «Mi dia una mano». Nils gli diede la mano. Ad aprile, venne rimosso e sostituito da Capello. Non senza, naturalmente, un comunicato che schiumava di sincera riconoscenza e dolorosa necessità. A Liedholm bastava il possesso palla. A Berlusconi interessava il possesso di tutto. Dietro l’angolo, cominciava ad agitarsi la paranoia di Sacchi. Liedholm «iocava a sona», flirtava pudicamente con i risultati e, nei ritagli di tempo, distillava ilari motteggi. Come la storiella di Marco Macina, titolare designato in Lazio-Milan del gennaio 1985. La gara fu rinviata di ventiquattr’ore per un’improvvisa, e violenta, nevicata. Macina andò dal massaggiatore per ritirare la maglia. Liedholm lo fulminò: «Tu iocato ieri».
Alcune sono vere, altre verosimili, altre ancora patteggiate: tutte, però, ne rispecchiano l’indole e lo stile. Nils raccontò di non essere andato alla Juventus «perché, insieme, saremmo stati troppo forti per tutti». Boniperti non ha mai negato che gli piaceva e lo avrebbe voluto a Torino. Si videro a casa del conte Rognoni, parlarono per ore e ore, Liedholm con la sua cantilena, il presidente con i suoi scatti. All’alba, Boniperti ripartì in auto ed era così stravolto dalla ragnatela dialettica del Barone che si addormentò al volante e rischiò di finire in un fosso.
Il calcio di Liedholm: «Di solito, provo in partita gli schemi che poi mi riescono perfettamente in allenamento». Non aveva bisogno di spot. Uno scudetto al Milan, quello della stella, e uno a Roma. «Farò il direttore tecnico», comunicò agli amici quando Berlusconi assunse Capello. In realtà, non fece più niente: almeno nel Milan. Aveva una filosofia quieta, «è la palla che deve sudare, non voi». Falcao, però, lo forgiò lui. E Di Bartolomei «libero». E Maldera cannoniere. Fatti, non battute
"se ero forte di testa secondo me io ero uno dei migliori difensori degli ultimi trent'anni comunque" (Floyd 10)
MARCO ANSALDO, INVIATO A DONETSK
L'ex tecnico di Roma e Milan, Nils Ledholm, è scomparso ieri a Cuccaro, nel Monferrato. Aveva 85 anni.
A un amico con il quale pranzò nei mesi scorsi a Cuccaro, Nils Liedholm raccontava di come si allenasse tutti i giorni al pallone con i suoi cani: «E’ un esercizio utilissimo - diceva - perché loro si muovono come se fossero dei difensori». E al commensale che gli chiedeva se alla sua età avesse smesso quella pratica, replicò: «Non è per l’età, è che sono morti i cani». Questo era Liedholm, l’uomo che tratteggiava il calcio come un racconto surreale ma ne spremeva la sostanza negli scudetti vinti e sfiorati, nei giovani che cresceva, nei contratti che lo resero ricco da soddisfare il suo sogno di bambino: fare l’agricoltore. Nel ‘73 comprò un appezzamento tra le colline del Monferrato, Villa Boemia, e si mise a produrre vino. Per lui non ce n’era di migliore perché Nils, il Barone, affrontava la vita convinto di trarne sempre il meglio.
E’ stato un grande che ha attraversato il secolo del calcio. Era nato l’8 ottobre 1922 in un paese di 9 mila anime, Valdemarsvik, sulla costa orientale della Svezia. Lì avevano impiantato nell’800 una delle più importanti concerie d’Europa e lui raccontava di essere cresciuto percependo il fetore delle lavorazioni mescolato al profumo dei prati dove giocava. Era bravo ma non fu un talento precoce: aveva 26 anni quando partecipò alle Olimpiadi di Londra. Vinse la Svezia, Nils fu proiettato dal piccolo Norrkoeping nel calcio dei professionisti: lo comprò il Milan insieme a Gren, il «professore», e al pompiere Nordahl.
Nacque il Gre-No-Li. Un attaccante di formidabile potenza, un cervello di straordinarie geometrie e un centrocampista completo per quei tempi di calcio rallentato, anche se lui sosteneva che «i grandi giocatori sarebbero grandi in qualunque epoca perché sono i più facili ad adattarsi». Vinse quattro scudetti. «Noi tre rappresentammo il momento più elegante del calcio italiano - raccontava nel suo italiano mai perfetto -, proseguito da Schiaffino e poi da Rivera. Fu la scuola del Milan, nella quale si sono formati allenatori come Trapattoni, Bagnoli, Radice. Quello per cui la gente si entusiasma adesso, nasce da lì». Di se stesso alimentava leggende. «Una volta a San Siro tirai così forte che la palla picchiò contro la traversa e ritornò nella nostra area». Oppure: «Sbagliai un passaggio e si sentì per tutto lo stadio un oh di meraviglia. Da due anni non ne sbagliavo uno». Sorrideva persino raccontando la finale persa ai Mondiali del ‘58 contro Pelè. Aveva segnato il primo gol, uscì per infortunio sull’1-1. «Vinse il Brasile - diceva - ma non c’è mai stata una squadra più forte di quella Svezia».
Quando a 39 anni chiuse la carriera di calciatore, aprì quella di allenatore. Dal Milan del campo al Milan in panchina. Non fu precoce e fulmineo nemmeno come tecnico. «Perdeva un’infinità di ore per insegnare il calcio ai giovani - ricorda Ancelotti - e si fermava a tirare ai portieri, la cosa che lo divertiva di più». Ancelotti lo volle ventenne alla Roma, strappandolo all’Inter: come aveva fatto a Varese con Bettega e poi con Baresi ragazzino nello scudetto della stella milanista e con Paolo Maldini. Ogni tanto smarriva il fiuto. Per lui Valigi e Strukely sarebbero stati grandissimi: chissà cosa vedeva quelle volte ma la conta dei talenti supera largamente quella della cantonate.
Insegnava un calcio fatto di possesso della palla e difesa a zona, leggiadro ed elegante. Quasi signorile. Non c’eravamo abituati, ci voleva la sua testa per inventare un libero come Di Bartolomei. Da una parte Nils e dall’altra il Trap nell’Italia che si divise sul fuorigioco di Turone, anno 1981, un punto di non ritorno. Lui lo commentò senza acredine sul filo dell’ironia: «Abbiamo buttato alle ortiche un’occasione unica ma la Roma è una squadra di tradizione giovane e può darsi che siamo stati ingenui». Altri tempi, sicuramente altro stile. Lo scudetto l’avrebbe vinto due anni dopo e la Coppa Campioni l’avrebbe gettata nella finale dell’Olimpico, ai rigori contro il Liverpool, ultimo grande atto di una carriera straordinaria, percorsa tante volte sul tratto Milano-Roma da dimenticare le altre fermate, a Monza, a Firenze, a Verona. Con il tratto del maestro, con l’ironia del genio che tenne fuori un giocatore dicendogli: «Tu hai già giocato ieri», peccato che la partita del giorno prima non si fosse disputata per il maltempo. E quello, sorridendo, andò in panchina.
L'ex tecnico di Roma e Milan, Nils Ledholm, è scomparso ieri a Cuccaro, nel Monferrato. Aveva 85 anni.
A un amico con il quale pranzò nei mesi scorsi a Cuccaro, Nils Liedholm raccontava di come si allenasse tutti i giorni al pallone con i suoi cani: «E’ un esercizio utilissimo - diceva - perché loro si muovono come se fossero dei difensori». E al commensale che gli chiedeva se alla sua età avesse smesso quella pratica, replicò: «Non è per l’età, è che sono morti i cani». Questo era Liedholm, l’uomo che tratteggiava il calcio come un racconto surreale ma ne spremeva la sostanza negli scudetti vinti e sfiorati, nei giovani che cresceva, nei contratti che lo resero ricco da soddisfare il suo sogno di bambino: fare l’agricoltore. Nel ‘73 comprò un appezzamento tra le colline del Monferrato, Villa Boemia, e si mise a produrre vino. Per lui non ce n’era di migliore perché Nils, il Barone, affrontava la vita convinto di trarne sempre il meglio.
E’ stato un grande che ha attraversato il secolo del calcio. Era nato l’8 ottobre 1922 in un paese di 9 mila anime, Valdemarsvik, sulla costa orientale della Svezia. Lì avevano impiantato nell’800 una delle più importanti concerie d’Europa e lui raccontava di essere cresciuto percependo il fetore delle lavorazioni mescolato al profumo dei prati dove giocava. Era bravo ma non fu un talento precoce: aveva 26 anni quando partecipò alle Olimpiadi di Londra. Vinse la Svezia, Nils fu proiettato dal piccolo Norrkoeping nel calcio dei professionisti: lo comprò il Milan insieme a Gren, il «professore», e al pompiere Nordahl.
Nacque il Gre-No-Li. Un attaccante di formidabile potenza, un cervello di straordinarie geometrie e un centrocampista completo per quei tempi di calcio rallentato, anche se lui sosteneva che «i grandi giocatori sarebbero grandi in qualunque epoca perché sono i più facili ad adattarsi». Vinse quattro scudetti. «Noi tre rappresentammo il momento più elegante del calcio italiano - raccontava nel suo italiano mai perfetto -, proseguito da Schiaffino e poi da Rivera. Fu la scuola del Milan, nella quale si sono formati allenatori come Trapattoni, Bagnoli, Radice. Quello per cui la gente si entusiasma adesso, nasce da lì». Di se stesso alimentava leggende. «Una volta a San Siro tirai così forte che la palla picchiò contro la traversa e ritornò nella nostra area». Oppure: «Sbagliai un passaggio e si sentì per tutto lo stadio un oh di meraviglia. Da due anni non ne sbagliavo uno». Sorrideva persino raccontando la finale persa ai Mondiali del ‘58 contro Pelè. Aveva segnato il primo gol, uscì per infortunio sull’1-1. «Vinse il Brasile - diceva - ma non c’è mai stata una squadra più forte di quella Svezia».
Quando a 39 anni chiuse la carriera di calciatore, aprì quella di allenatore. Dal Milan del campo al Milan in panchina. Non fu precoce e fulmineo nemmeno come tecnico. «Perdeva un’infinità di ore per insegnare il calcio ai giovani - ricorda Ancelotti - e si fermava a tirare ai portieri, la cosa che lo divertiva di più». Ancelotti lo volle ventenne alla Roma, strappandolo all’Inter: come aveva fatto a Varese con Bettega e poi con Baresi ragazzino nello scudetto della stella milanista e con Paolo Maldini. Ogni tanto smarriva il fiuto. Per lui Valigi e Strukely sarebbero stati grandissimi: chissà cosa vedeva quelle volte ma la conta dei talenti supera largamente quella della cantonate.
Insegnava un calcio fatto di possesso della palla e difesa a zona, leggiadro ed elegante. Quasi signorile. Non c’eravamo abituati, ci voleva la sua testa per inventare un libero come Di Bartolomei. Da una parte Nils e dall’altra il Trap nell’Italia che si divise sul fuorigioco di Turone, anno 1981, un punto di non ritorno. Lui lo commentò senza acredine sul filo dell’ironia: «Abbiamo buttato alle ortiche un’occasione unica ma la Roma è una squadra di tradizione giovane e può darsi che siamo stati ingenui». Altri tempi, sicuramente altro stile. Lo scudetto l’avrebbe vinto due anni dopo e la Coppa Campioni l’avrebbe gettata nella finale dell’Olimpico, ai rigori contro il Liverpool, ultimo grande atto di una carriera straordinaria, percorsa tante volte sul tratto Milano-Roma da dimenticare le altre fermate, a Monza, a Firenze, a Verona. Con il tratto del maestro, con l’ironia del genio che tenne fuori un giocatore dicendogli: «Tu hai già giocato ieri», peccato che la partita del giorno prima non si fosse disputata per il maltempo. E quello, sorridendo, andò in panchina.
"se ero forte di testa secondo me io ero uno dei migliori difensori degli ultimi trent'anni comunque" (Floyd 10)
Voglio ricordarlo con un aneddoto.
Un Roma-Juventus degli anni 80, Furino mena con insistenza e ad un certo punto commette un fallo vicino alla panchina della Roma.
Liedholm allora si rivolge al suo giocatore e gli dice "Furino è la metà di te, come puoi subire un fallo da lui??"
Furino, che non era certo un tipo accomodante, lo sente e gli dice "Mister, se vuole ce n'è anche per lei".
E Liddas, senza scomporsi, replica "Furino, io ti lascio quattro cassotti di vantaggio ed il tempo di scappare, ma non credo che riuscirai a raccontarla".
Credo che in quest'aneddoto ci sia tutto il grande, grandissimo personaggio che Nils è stato. Grande giocatore ed intenditore di calcio e persona perbene.
Ciao Barone.
Un Roma-Juventus degli anni 80, Furino mena con insistenza e ad un certo punto commette un fallo vicino alla panchina della Roma.
Liedholm allora si rivolge al suo giocatore e gli dice "Furino è la metà di te, come puoi subire un fallo da lui??"
Furino, che non era certo un tipo accomodante, lo sente e gli dice "Mister, se vuole ce n'è anche per lei".
E Liddas, senza scomporsi, replica "Furino, io ti lascio quattro cassotti di vantaggio ed il tempo di scappare, ma non credo che riuscirai a raccontarla".
Credo che in quest'aneddoto ci sia tutto il grande, grandissimo personaggio che Nils è stato. Grande giocatore ed intenditore di calcio e persona perbene.
Ciao Barone.
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Roberto74 ha scritto:Voglio ricordarlo con un aneddoto.
Un Roma-Juventus degli anni 80, Furino mena con insistenza e ad un certo punto commette un fallo vicino alla panchina della Roma.
Liedholm allora si rivolge al suo giocatore e gli dice "Furino è la metà di te, come puoi subire un fallo da lui??"
Furino, che non era certo un tipo accomodante, lo sente e gli dice "Mister, se vuole ce n'è anche per lei".
E Liddas, senza scomporsi, replica "Furino, io ti lascio quattro cassotti di vantaggio ed il tempo di scappare, ma non credo che riuscirai a raccontarla".
Credo che in quest'aneddoto ci sia tutto il grande, grandissimo personaggio che Nils è stato. Grande giocatore ed intenditore di calcio e persona perbene.
Ciao Barone.
Altafini aveva il vizio di nascondersi nell'armadietto di nereo rocco tutto nudo e quando il mister apriva lui gli metteva paura facendo zompare rocco con tutti i compagni che ridevano...
Quando Liedholm venne al milan Altafini rifece lo scherzo e quando Nils apri l'armadietto aLTAFINI provo a mettergli paura...Liedhol rimanè impassibile e stando zitto per poi dirgli "QUESTO NON TUO ARMADIETTO...TUO ARMADIETTO NUMERO 7...QUESTO MIO ARMADIETTO GRAZIE..."